UN SORRISO MAGICO - stesura 01 10 2025

 




1 -Antonio, detto Silvantonio: il prestigiatore per passione.



Antonio da bambino, o meglio bambinone, era nato con il sorriso in bocca. Già qualche ora dopo il parto, aveva capito come funzionava la vita e aveva cominciato con i suoi giochi di prestigio. Invece di piangere per avere una poppata dalla sua mamma, riusciva a comunicare ciò che voleva con i suoi occhi spalancati. Lui, senza saperlo, ripagava tutti facendo dei giochi con il ciuccio: prima mettendolo in bocca, poi togliendolo facendo rumore, poi nascondendolo dietro la schiena, facendolo ruotare con il dito medio fino a lanciarlo fuori dal lettino e altro ancora. Molto spesso costringeva i suoi genitori a raccogliere il ciuccio per riportarglielo. Riusciva perfino a nasconderlo sotto il cuscino o la copertina facendo vedere il palmo delle mani, e a sei mesi la sua prima parola non fu "mamma" ma: “...più!” (ovvero: “non c’è più!”).

Crescendo diventò un’attrazione per tutti i suoi familiari, ma anche per vicini e conoscenti. Nel tempo, senza sapere come, gli fu dato in nomignolo di Silvantonio, in onore di un famoso mago della televisione di nome Silvan.

Negli anni a seguire i suoi interessi furono sempre legati al gioco e alla magia. Gli furono regalati: mantelli, cilindri, carte, scatole magiche, fazzoletti colorati, pupazzi di pezza a forma di colomba e coniglio. Insomma, tutto ciò che può servire a un prestigiatore alle prime armi. All’età di 14 anni si iscrisse ad una master-class di giochi di prestigio tenuta dal Grande Silvan. Era la cosa che più aveva desiderato in vita sua. Lì imparò dei giochi meravigliosi da fare vedere alle persone. Allo stesso tempo, però, dovette fare giuramento che non avrebbe mai svelato i trucchi del mestiere.

Crebbe circondato da tanti amici. Ogni tanto istintivamente faceva cose senza una logica e/o ragione. Era come se una forza particolare lo obbligasse ad andare in certi posti che non conosceva per incontrare persone per poter ascoltare gli altri o portare un sorriso con la sua abilità. Lui si sentiva un farmaco, anzi il farmaco del sorriso.

La prima volta che gli capitò di sperimentare la sua dote fu nei bagni della scuola quando lui era in terza elementare. Durante la lezione di matematica sentì il bisogno di uscire dalla classe per prendere una boccata d’aria. Prese la scusa di andare in bagno e chiedendo alla maestra di uscire. Entrato nei bagni, si accorse che un bambino stava seduto a terra con la schiena poggiata alla parete e la testa riversa sulle gambe abbracciate. Entrando in quell’ambiente, il singhiozzo del bimbo si alternava alla goccia di un rubinetto rotto, originando una strana melodia triste.

Silvantonio immediatamente indossò il suo abito immaginario di supereroe e, per attirare l’attenzione, cominciò con la bocca a borbottare una canzoncina ritmata. Il suono onomatopeico emesso era del tipo: "zu tam- zu tam, tam -tam", e di nuovo "zu tam- zu tam, tam -tam". Contemporaneamente, cominciò a fare una break dance uscendo dalle proprie tasche fazzoletti e carte cominciando il suo spettacolino di 30 secondi. Fece volare 52 carte in aria riprendendole al volo, fece scomparire nell’ordine un uovo, una moneta e una fragola dalla mano destra, ricoprendo gli oggetti con un fazzoletto, per poi farli riapparire dai luoghi più impensati.

La melodia triste si interruppe, si sentiva oramai solo la goccia cadere. La testa del bambino si sollevò appena ed il suo occhio cominciò a scrutare lo spazio intorno del bagno. Dopo 20 secondi il bambino cominciò ad accennare un sorriso e dopo ulteriori 5 secondi già rideva a crepapelle. 30 secondi dopo era poggiato alla parete con le lacrime intrise di risate. Silvantonio in quell’istante si sentì un supereroe, il più forte di tutti. Non sapeva il motivo del dolore del bambino, né lo avrebbe saputo mai, ma sapeva che i suoi super poteri avevano cancellato in quel suo coetaneo la tristezza. Ritornò in classe, riprese il suo posto come se nulla fosse successo, sembrava Superman che riprende le vesti di Clark Kent.


2 Adelaide: la suora triste

Dopo trent’anni da quell’episodio successo a Silvantonio, nel reparto di medicina generale di un grande ospedale pubblico di Roma, lavorava da infermiera una suora, Adelaide. Indossava una divisa bianca, tipo Croce Rossa Italiana. Lei aveva uno sguardo austero e severo. Adelaide nel suo lavoro era molto attenta, somministrava cure secondo le cartelle ospedaliere, con precisione maniacale. L'unica nota stonata era che prestava cure solo nel reparto donne, non parlava mai con gli uomini.

Lei era stata cresciuta in una famiglia tradizionale, cattolica e contadina dell’appennino Calabrese. Luoghi meravigliosi e isolati dal mondo, dove la natura è ciò che lega ogni cosa. Da giovane , pero’, aveva subito una violenza di cui non parlo’ mai con nessuno e così, per allontanarsi da quei luoghi, all’età di 18 anni, aveva deciso di prendere i voti e farsi monaca. Una scelta portata forse dalla fede, ma anche dalla voglia di mettere un muro tra lei ed il mondo.

Le sue giornate da sempre erano uguali a se stesse: sveglia alle 5 e 30 per le odi del mattino, autobus, attività lavorativa presso l’ospedale, nuovamente autobus di ritorno, messa del pomeriggio, tempo dedicato alle necessità del convento, cena e preghiera serale prima di coricarsi. Una vera vita monastica.

L’unica cosa che si concedeva come svago era una cioccolata calda nel pomeriggio prima di cominciare le faccende. Una volta al mese un taxi la veniva a prendere in convento per recarsi da una psicologa. Lei andava sempre scortata da una sorella, Chiara, che durante la visita l’aspettava sempre nella sala d’attesa, facendo vestitini all’uncinetto per i bimbi neonati di ragazze madri.

Molto spesso i credenti cercano tutte le risposte nella fede, a lei evidentemente non essendo riuscita a trovare le giuste risposte nella casa di Dio le aveva cercate altrove.

La psicologa da cui andava era la n° 4, nel senso che era la quarta che cambiava. Fondamentalmente la psicologa doveva aiutarla a superare il fatto di  riuscire a parlare con gli uomini.


3- Caterina: la psicologa stupenda

La psicologa da cui andava Adelaide si chiamava Caterina. Caterina era una donna del nostro tempo: 35 anni, tipo nervino (o nevrotico), media statura, tatuaggi in tutte le parti del corpo, praticava lap dance, capelli tinti di color blu.

Le sue giornate erano organizzate tra lavoro, palestra, aperitivi e viaggi. La vita sognata da ogni donna libera. Il suo telefonino era sempre in funzione, un prolungamento esterno del suo cervello.

Messaggi di tutti i tipi si incrociavano: “Oggi dottoressa ho necessità di avere una visita urgente”, “Questa sera in palestra alle 22:00 dovremo mettere il completino rosso per le prove”, “Ciao Caterina ci vediamo alle 7 al Mexican bar, ho voglia di piccante; “Buongiorno Caterina se vuole passi in agenzia stiamo organizzando un viaggio con Avventure nel Globo nell’Isola di Socotra”.

Diciamo che la sua vita privata si intrecciava sempre con il lavoro, ma lei riusciva sempre a trovare un certo equilibrio: il suo. Naturalmente nei tempi morti la sua mente, che morti non erano, era sempre impegnata tramite il telefonino su piattaforme digitali, o per comprare scarpe e vestiti o per vendere gli stessi vestiti comprati qualche settimana prima.

L’unico affetto vero era il suo gatto: Mielino. Mielino era stato trovato miagolante sotto una macchina tutto bagnato e cieco di un occhio. Lei lo prese come un bambino e lo crebbe con amore e affetto, che il gattino ricambiava sempre. Mielino le dava sempre la sveglia, l’accoglieva sempre a casa al suo ritorno strusciandosi fra le gambe, le faceva compagnia durante le lunghe serate d’inverno a vedere interminabili serie televisive, sempre su piattaforme digitali.

L’amore, meglio il sesso, era qualcosa di fastidioso da soddisfare. Noi non possiamo annullare le nostre pulsioni, lei lo sapeva bene. Questo suo problema veniva risolto o tramite un suo carissimo amico da letto. Diciamo che era un rapporto di mutua assistenza. Quando uscivano con gli altri amici erano solo amici punto e basta. Ma appena superavano la porta del suo appartamento, potevano diventare amanti per una paio d’ore. Poi ognuno rientrava nel proprio ruolo di donna/uomo indipendente. Oppure, qualche volta capitava di voler rompere la monotonia delle sue giornate. Così Caterina organizzava un’uscita di venerdì sera con due sue amiche del cuore. La serata si svolgeva quasi sempre allo stesso modo: aperitivi in due locali diversi e poi in discoteca, accompagnate sempre dal loro autista di fiducia abusivo, nel senso che lavorava in nero, un tale Erminio.

Nel locale naturalmente le tre donne bevevano superalcolici a mai finire fino a diventare sbronze come scimmie ubriache. Scopo della serata era riuscire a diventare preda per qualche bel cacciatore, per poi chiudere la serata in bellezza. L’alcool permetteva di superare tutte le barriere etiche e morali per un paio d’ore. Poi ad un orario prestabilito, Erminio, le andava a recuperare per poi riportarle ognuna alle proprie abitazioni. Tutto funzionava alla perfezione. E questa perfezione veniva continuamente fotografata e postata su varie piattaforme social, di tutte e tre, dove conta di più chi ha molti cuoricini (like) e followers. Era questo il loro competizione buona, una specie di gioco a punti, meglio a like.

Il suo studio era la sua casa. Lei riceveva solitamente in una veranda-cucina con il suo Mielino.

In questo ambiente la cucina funzionava da soprammobile, non veniva mai usata, la bombola del gas era la stessa da 5 anni. Le stoviglie erano tutte al loro posto in modo ordinato, in quanto Caterina utilizzava piatti, bicchieri e posate usa e getta, tutto naturalmente di tipo ecologico. Una volta le era capitato di comprare dei piatti di plastica con la scritta ecologico, poi si era accorta che sulla confezione c’era scritto che si potevano riutilizzare lavandoli, cosa che lei odiava. Non li ricomprò mai più.

Il cibo che lei consumava era di tipo congelato o precotto e lo stesso veniva riscaldato sempre con il forno a microonde. Quando non aveva voglia di pigiare il pulsante del microonde, tramite un’app del telefonino, con comandi vocali, si ordinava delle cene sfiziose. Dopo 15 minuti le venivano recapitate da un rider, che come un mago si presentava dietro la sua porta con una grande valigia fosforescente dal quale estraeva il cibo desiderato, caldo e fumante. Lei concedeva sempre una mancia al genio di turno. La sua cucina era sempre pulitissima, tutt'al più poteva essere impolverata, a seconda del giorno delle pulizie del suo cameriere filippino.

Le sedute con Adelaide avvenivano in modo rituale. La suora accompagnatrice si soffermava nell’ingresso salottino della casa che aveva funzioni di sala d’attesa. Adelaide entrata nello studio-cucina, che odorava di brezze marine, si accomodava sempre sul divano e sdraiandosi sullo stesso. Caterina seduta su di una sedia con abiti molto sobri, indossando una parrucca a caschetto, e tenendo in mano una rubrica nella quale appuntava le parti salienti della seduta, cominciava a chiedere alla paziente come fossero andati i 30 giorni posteriori al loro ultimo incontro. Se c’erano stati dei progressi con la sua patologia, che non le permetteva di relazionarsi con gli uomini.

Dopo sei mesi di questo andazzo, Adelaide rispondeva alla sua Psicologa sempre allo stesso modo: “non ci sono stati progressi, evito sempre i luoghi dove si sofferma personale maschile ospedaliero, la mia mente mi impone sempre di mantenere una distanza con l’altro sesso.” Caterina rassicurava Adelaide dicendo che presto tutto si sarebbe risolto, che la scienza ( nuovo Dio moderno) oggi riesce a risolvere ogni problema. Poi le faceva fare esercizi di meditazione per aiutarla a liberarsi di tutte le tensioni. Grande alleato della psicologa era Mielino che con le sue strusciature riusciva a creare la giusta atmosfera di rilassamento.

Finita la seduta, Adelaide ritornava speranzosa al convento in quanto durante la seduta riusciva ad accarezzare il gatto Mielino di sesso maschile. Non era certo un uomo, ma era già sicuramente qualcosa di buono. Ma questo Lei non lo disse mai a Caterina.

Al convento, lei riprendeva il ritmo di quel luogo abituale, che a lei stava benissimo come un vestito comodo, in quanto una certezza c’era: non avrebbe incontrato l’altro sesso.


4- Il ricovero

Silvantonio da qualche anno ormai faceva l’informatore farmaceutico nella città di Roma e nel Lazio di una nota

casa farmaceutica che produceva aspirine.

Le sue giornate erano simili a se stesse: la mattina stampare la lista di medici da visitare; calcolare il percorso migliore con l’ausilio dell’Intelligenza artificiale, fare visita ai medici aspettando per essere ricevuto dopo almeno tre pazienti.

Durante l’attesa nello studio lui si esercitava con giochi di prestigio. Così alcuni pazienti facevano di tutto per non farlo andare via per vedere i suoi giochi. Era l’unico informatore farmaceutico amato dai pazienti, che riusciva a portare un sorriso nelle sale d’attesa, che alcune volte somigliano alle stanze del boia che precedono l’esecuzione capitale.

Silvantonio dava il meglio di se: moltiplicava caramelle che venivano poi lanciate in aria, giochi di carte che permettevano di scoprire l’età degli spettatori, carte che scomparivano e riapparivano nelle tasche di increduli presenti, monetine tolte dalle orecchie di bambini, scenette in cui si fingeva malato con mal di pancia e la successiva l’apparizione di un ovetto di cioccolato, che regalava sempre a un bambino. Se i bambini erano più di uno doveva ripetere la scenette più volte. Un po’ faticoso, ma era il gioco che preferiva.

Un bel giorno, durante un’esibizione con l’ovetto al cioccolato, mentre si piegava sul ventre rimase a terra per qualche minuto. I presenti, conoscendolo, non gli diedero soccorso, pensavano che fosse una variante al suo spettacolo. Dopo 5 minuti di lamenti, una signora che non lo aveva mai visto disse: “poverino, sta male”. Immediatamente i pazienti della sala d’aspetto capirono che non era una delle solite magie e chiamarono la dottoressa nella stanza delle visite. La dottoressa, vedendo quell’omaccione a terra che si contorceva, si preoccupò, ed immediatamente, dopo averlo disteso, lo visitò. Si accorse che Silvantonio aveva un’ernia strozzata vicino l’ombelico. Rassicurò il  rappresentante farmaceutico e poi disse: “chiamate un’ambulanza, non è grave, ma sicuramente deve essere operato al più presto, non è in grado di guidare”. Poi si fece una grossa risata e disse ancora: “Questa magia non la fare mai più, così la finisci di prendere in giro i miei pazienti con i tuoi giochetti dove ti metti a far finta che star male.”

Arrivato al reparto di medicina dell’Ospedale pubblico, dopo aver superato il pronto soccorso, fu messo in uno stanzone con altri 5 pazienti. Nel lato sinistro del corridoio erano disposte tutte le stanze con gli uomini, in quello di destro quelle con le donne. Gli fu assegnato un letto vicino la porta dotato di tutte le attrezzature ospedaliere e gli fu detto che avrebbe dovuto fare una serie di accertamenti per essere operato. Gli fu detto, sempre dall’infermiere che lo aveva accolto con tanta gentilezza, che il suo caso non era urgente, che probabilmente avrebbe passato dei giorni di attesa in ospedale.

Così Silvantonio, per ammazzare il tempo, cominciò a esercitarsi con le carte da gioco. I suoi esercizi venivano eseguiti dopo la terapia e la visita dei medici. Già il giorno seguente al suo ricovero nella sua stanza non si sentivano più lamenti, anzi espressioni di stupore tipo: “Oh! Ah!” oppure risatine e dopo uno scrosciare di applausi. Nel giro di 24 ore diventò la star dei malati, degli infermieri e dei medici. La cosa venne notata anche dalla suora Adelaide mentre passava davanti la porta della stanza 14. Era l’unica stanza dove non si sentivano lamentare i malati. Le uniche parole che si sentiva dire erano: “Ancora. Ancora!”. E questo succedeva sia di giorno che di sera, quando Silvantonio, non contento delle sue performance mattutitne, cominciava a raccontare storie proiettando con una lampadina tascabile ombre di animali e altri esseri meravigliosi sul muro della stanza. La lampadina tascabile era stata presa in prestito tra le attrezzature di sicurezza per i casi di emergenza.

Adelaide il primo giorno dopo l’arrivo del mago, pur se incuriosita da ciò che succedeva in reparto, riuscì a resistere a non entrare nella stanza 14. Ma il secondo giorno con una scusa entrò nella stanza per vedere cosa succedeva lì.

Silvantonio appena la vide, come faceva suo solito con tutte le infermiere, fece apparire dalle sue mani un garofano di plastica rosso e glielo donò. Lei, presa alla sprovvista, lo prese e, per la prima volta in vita sua, rivolgendo lo sguardo verso quel ragazzone, dalla faccia molto rassicurante, disse “Grazie!”. Poi, dopo un attimo, mettendosi la mano destra sulla bocca, fece un sussulto e scappò via.

Silvantonio stupito dalla reazione della suora domandò a se stesso cosa fosse successo, dove avesse sbagliato. Quale incidente diplomatico avesse azionato a sua insaputa. Poi pensò che non era cosa consueta regalare fiori di plastica profumata a una suora. Così, facendosi una risata leggera, riprese a fare i suoi spettacoli. Piuttosto, gli spettacoli ormai venivano fatti per tutti i pazienti che si affacciavano alla porta e quando si liberava un posto nella stanza molti chiedevano di essere ricoverati nella stanza del Mago.

I medici avendo notato che da quando Silvantonio era ricoverato nella stanza 14 i farmaci antidolorifici non venivano più richiesti, chiesero a Silvantonio di essere aiutati in reparti particolari dove erano ricoverati dei bambini con problemi seri. Così Silvantonio, con un lenzuolo a mo’ di mantello, pantofole bianche e cuffietta da chirurgo, era diventato il mago Bianco dell’ospedale. Riusciva a calmare i bambini facendoli ridere mentre i medici e gli infermieri mettevano gli aghetti nei braccini per somministrare i farmaci e terapie.

Adelaide, incuriosita degli effetti anestetici dei giochi di prestigio, ebbe il desiderio di vederli fare. Così ogni giorno con una scusa entrava nella stanza 14 e osservava il mago compiere le sue illusioni ed i suoi prodigi. Dopo un paio di giorni era diventato un divertimento vedere tutte quelle cose materializzarsi e smaterializzarsi ed il sorriso le spuntava sempre sul viso.

Già da qualche giorno, avendo ripreso fiducia nella vita, cominciò a salutare il portiere del padiglione. Il portiere notò subito il cambio di comportamento della suora e ricambiò sempre il suo saluto accompagnandolo con un sorriso.

Adelaide non contenta, entrò nella stanza dei manutentori e chiese di venire in reparto per regolare i termosifoni del reparto perché erano regolati con temperatura troppo bassa. Poi andò dal direttore sanitario, il magnifico super professore emerito di cui non ricordo il nome, per lamentarsi della qualità del cibo che veniva somministrato ai malati. Insomma, nel giro di qualche giorno riuscì a parlare con gli uomini di tutto l’ospedale.

Il settimo giorno di ricovero, Silvantonio, fu operato in anestesia locale. Lei sapendo che il mago era stato sottoposto a intervento chirurgico, appena uscì dalla sala operatoria, lo andò a trovare e gli chiese del suo stato di salute.


5 - La guarigione

La suora dopo una settimana dall’intervento si rese conto che lei finalmente era guarita dalla sua fobia. Si sentì in dovere di ringraziare Silvantonio. Andò nella stanza dove si riunivano le infermiere fece una telefonata a Caterina e la invitò ad andare in Ospedale perché lei doveva comuicarle importanti novità. Quando la dottoressa arrivò la fece accomodare poi chiamò Silvantonio ed in sua presenza disse: “Ti volevo presentare colui che mi ha salvato dalla mia fobia attraverso l’illusione o una magia, da oggi cara Caterina non avrò più bisogno del tuo aiuto, comunque grazie. Anzi, potresti provare a curare i tuoi pazienti con questa nuova disciplina che si chiama magia-terapia.”

Silvantonio sulle prime rimase un po’ deluso, quando vide la suora licenziare la psicologa. C’era rimasto un po’ male in quanto era rimasto folgorato dalla bellezza di Caterina e del fatto che lui era la causa, involontaria, del licenziamento. Dopo un attimo di smarrimento e con un sorriso beffardo, passando la mano sulla testa della suora disse: “La fobia non c’è più”.Scoppiarono tutti e tre a ridere.

Molto spesso la vita ci porta a compiere azioni da supereroi, ma noi non lo sappiamo. Tutto si era compiuto, i tre fiumi ricominciarono a scorrere separatamente.

Epilogo come mi piace

Questo racconto, frutto di una mia personale trasposizione/invenzione di un fatto che mi è stato raccontato per telefono, che però non ha nessuna attinenza con la realtà, con personaggi, nomi e fatti, tutti frutto della mia fantasia, potrebbe concludersi con l’ultimo capoverso di cui sopra.

Ma io sono uno che crede nell’amore, mi piace pensare che Adelaide nel mese successivo alla sua guarigione, dopo un corso veloce con video-chiamate con Silvantonio, diventò anch’essa maga e prestigiatrice. Dovette giurare al suo amico che non avrebbe mai svelato i segreti della magia né sotto tortura, né durante le confessioni.

Lei divento il migliore anestetico naturale al dolore dei bambini, e non solo. La sua divisa usuale si era trasformata con un semplice naso rosso da clown, che indossava sempre, provocando con i suoi giochi sempre ilarità nei malati.

Silvantonio, stupito dalla bellezza di Caterina, non perse l’occasione di nascondere nella borsa della psicologa una carta con il suo numero di cellulare e con su scritto: “…potrei fare tante magie per te, anche se ti ho tolto il lavoro, regalandoti un sorriso.

Caterina una mattina trovò Mielino con in bocca una carta del re di Cuori e qualcosa scritto su di essa. La sua noiosissima vita da single stava per cambiare.



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