Un “cuntu” di Santa Lucia.
Quest'anno per la prima volta non ho potuto perpetrare il rito di mangiare le arancine con mia figlia, la grande, perché ormai lei lavora “fuori”, fuori dalla Sicilia. Mi ricordo che già in tenerissima età io e lei andavamo a mangiare un arancina al burro seduti in un bar e che lei, piccolina, riusciva a divorarla tutta, come un lupo. Non potete immaginare la mia soddisfazione nel vederla mangiare. Noi da buoni palermitani, genitori di emigrati, qualche giorno prima del giorno di santa Lucia, ci siamo prodigati a spedire un pacco con vettovagliamento palermitano tra cui la cuccia, che lei da tradizione ha cucinato per la festività, con la ricotta, ed ha condiviso con i propri amici e colleghi della città in cui vive e lavora, è stato un successo.
Penso che in altre parti del mondo dove c'era un siciliano o un palermitano sia successa la stessa cosa. In un articolo di Meridione news, testata on-line, del 06/06/2021, ho letto che i siciliani sparsi per il mondo sono circa 700.000 ed i discendenti siculi – discendenti oltre 6.000.000. Alcuni politici Siciliani hanno giustamente proposto di dedicare a questi Siciliani una giornata commemorativa il 15 maggio, il Giorno in cui si festeggia l'autonomia della Regione Siciliana.
Bene, se dovessi scegliere io, il giorno commemorativo sarebbe sicuramente il 13 Dicembre in cui si ricorda Santa Lucia, una giornata di festa, di tradizioni culinarie comune a tutta la Sicilia ed ai Siciliani. Per loro ho scritto il piccolo “cunto” ( racconto) che segue, affinché la memoria di questa festa ed il legame che c'è tra noi e loro venga rafforzato.
Santa Lucia
Un uomo seduto davanti ad un locale parla di acidità. Un termine noto solo a Palermo, un modo per dire che qualcuno ha abusato con il cibo e che necessita di un rimedio per superare l'indigestione. L'uomo racconta delle prelibatezze che si somministrano in quel locale ed in particolare di palle di riso ripiene, fritte da mangiare subito pronte per ustionare il palato.
Poco più avanti,un ragazzo trasporta un cesto di canne e vimini ripieno di tanti foglietti di polenta di ceci, riposti in modo da formare tanti mazzi, come fossero carte da gioco. Nel cesto sono presenti anche delle piccole polpettine di patate ovalizzate, disposte come tante uova sovrapposte. Il ragazzo si dirige in direzione di un enorme padellone, ripieno di olio bollente, riposto all'interno di un carro posteggiato impropriamente in un crocevia di un quartiere popolare del centro.
Rivolgendo lo sguardo oltre il carro, si vede una massaia che si affaccia al balcone e nel farlo sistema tre grosse pentole fumanti su di una banchetto,la vicina che la osserva dal palazzo di fronte e la saluta così: Salutamo zia Oliva! Finiro ri vugghiri ciceri, castagne e cuccia?. ( Ti saluto zia Oliva! Ceci, castagne e cuccia hanno completato la cottura in acqua ?) E la zia Oliva risponde: Certamente zia Agata! Li staui facenno arrifriddare pi dariccilli ai picciriddi prima di nescere, .. u sape anni a ghiri a scola, oggi pane niente! ( certamente zia Agata! Li sto facendo raffreddare per farli magiare ai bambini prima di uscire...lo sa, devono andare a scuola, oggi non si mangia pane!).
Un operaio nel portone sottostante il balcone saluta la moglie con un pudico bacio, lei gli porge uno strano fagotto composto da due piatti fondi contrapposti in modo da formare una cavità, dentro un tortino di patate ripieno di carne tritata con sugo e piselli. Il fagotto è tenuto da un grosso canovaccio di cucina che legato nelle punte formava una specie di bisaccia. La donna nel sorridere all'uomo dice: Un fare tardi, stasira semu ni to soro Cristina, la cuccia ruci ni farà trovare, cunsata cu ricutta e cioccolata..u sai cu un ci piace aspettare! ( Non fare tardi, questa sera siamo ospiti di tua sorella Cristina, ci farà trovare cuccia dolce, condita con ricotta e cioccolato... lo sai non Le piace aspettare!)
In quell'istante, il sole sta per sorge da Est e tutto nella mente di ogni palermitano richiama al tondo arancione arancina, qualcosa di giottesco illumina una fissazione........., mentre il fumo di frittura si confonde con la foschia del mattino e un odore impregnate invade la città, non ci sono dubbi è il 13 dicembre di un qualsiasi anno, del passato, del presente del futuro.
Dedicata a tutti i siciliani e palermitani sparsi nel mondo, ed in particolar modo a coloro che non hanno potuto perpetrare il rito, a loro voglio ricordare che c'è sempre un'arancina che li aspetta ( solo per i catanesi, leggano al maschile, un arancino).
Per i non palermitani e i non credenti, voglio precisare che ogni bar di Palermo ( che rispetti la tradizione), in ogni giorno dell'anno, la mattina alle sette, propone agli avventori, come primo alimento, l'arancina calda, appena fritta, da accompagnare successivamente con un caffè( io la preferisco “accarne”).
Commenti
Posta un commento