Quale tessuto?
Qualche giorno fa,
dovendo effettuare delle compere, ho deciso di fare una passeggiata in via
Roma: erano anni che non lo facevo. La prima cosa che mi ha colpito è stato che
rispetto agli anni passati c’erano poche persone che camminavano, poi, moltissime vetrine di negozi ormai svuotate rimandavano a immagini di carcasse svuotate
di vecchie auto da rottamare. Era come se un pezzo di città si fosse
addormentata a macchia di leopardo per sempre. La crisi di cui tutti parlano è arrivata anche qua, è
sicuramente un dato di fatto. Questa è dovuta in parte ad una “evoluzione”,
involuzione, del sistema economico e commerciale che si è voluto dare alla
città per omologarla alle grandi città d’Italia e D’Europa, la realizzazione di
grandi centri commerciali dove poter effettuare compere di ogni genere o vivere parte della vita, e nel
dire questo non esagero. Questi grandi centri
commerciali sono come se fossero delle grandi astronavi dove perdere la
cognizione del tempo; è significativo che quasi tutti i negozi non hanno nessun
apertura verso l’esterno, che la luce naturale che entra è filtrata da vetri
opacizzati, come a volere creare un mondo nuovo, il parco divertimenti dove si
recarono Pinocchio e Lucignolo nella
fiaba di Collodi. Naturalmente, come
nella fiaba, questi luoghi hanno il potere di trasformare le persone da
individui ad asini, solo che oggi questo piccolo inconveniente non si vede perché particolari computer
rimandano un ologramma che inganna l’avventore che li frequenta. Artefici di
questa trasformazione sono i suoni e le luci artificiali, musica assordante nei percorsi interni e luci artificiali che
hanno il compito di rendere più visibile la merce messa lì per sedurre gli
avventori. Questi mega mostri sono l’espressione massima del capitalismo
finalizzato non solo al massimo
profitto, ma soprattutto ad assoggettare
con promesse di bellezza e vanità intere popolazioni, complice la pubblicità
martellante che in ogni dove reale o virtuale ci ha invasi. Andare a fare
un’analisi del fenomeno consumistico non è certo compito mio, ma è chiaro che
questo esiste e che ormai per questo puro piacere vacuo indotto di consumare
stiamo distruggendo ogni cosa, anche i luoghi in cui viviamo, la nostra
città.
Penso che sia arrivato
il tempo di mettere in atto delle politiche che favoriscano il risanamento del tessuto
cittadino che si è distrutto, di salvare il salvabile, di ripensare la città in
modo da renderla nuovamente bella e vivibile. Per fare ciò è necessario
favorire la sua fruizione ai Palermitani e ridare ossigeno vitale ai tessuti morti per
farli rinascere utilizzando gli spazi, edifici strade e strutture esistenti
ridandogli, se necessario, significati nuovi. Tutto ciò deve essere fatto nel
rispetto della lettura del passato, ma senza aver nessun timore a innovare,
modificare e trasformare. Un po’ come è stato fatto nei secoli nelle chiese
della città dove si sono mischiati, sovrapposti e fusi vari stili di epoche
diverse. E’ paradossale che i turisti
che vengono a Palermo per visitarla non facciano nessuna visita ai centri
commerciali e che questi facciano visita alla città abbandonata da tanti
Palermitani, che preferiscono svolgere parte della loro vita nei mega mostri. Mi piacerebbe incontrare la fata Turchina per
chiderLe di rimettere ogni cosa perfettamente funzionante al proprio posto, ma penso che questa sia una
magia troppo grande per una sola fata, è necessario secondo me un contributo da
parte di tutti noi e questo può nascere solo dall’incontro e dal confronto, dal
desiderio di riscatto. Allora quali luoghi,
dove incontrarsi? Esistono quelli virtuali, i gruppi sui social network, e
quelli reali Tetri, cinema, piazze, bar, coworking, scuole, università,
associazioni culturali entrambi sono
validi, l’importante è cominciare anche sbagliando, si potrà sempre porre
rimedio, “ vedendo facendo” come alcune volte dicono i capomastri dei cantieri
edili in cui bazzico.
p.s.
da wikipedia: Il termine civiltà deriva dal latino civilĭtas,[1] a sua volta derivato dall'aggettivo civilis,
da civis ("cittadino"),
a sua volta derivante da civitas (città, intesa come agglomerato
sociale di individui e non come agglomerato urbano). In questo ambito indicava
dunque l'insieme delle qualità e delle caratteristiche del membro di una comunità cittadina, nel senso di buone maniere
cittadine contrapposte a rusticitas la rozzezza degli abitanti della
campagna; concetto che in realtà voleva discernere l'organizzazione democratica
dello Stato civile da quella individualistica ed autarchica della vita nelle
campagne.
Con entrambi i
significati il termine passò nella lingua italiana nel Trecento………Avvicinandosi molto al termine di "cultura" cominciò
inoltre ad indicare le caratteristiche (idee, valori, tradizioni) proprie di un
popolo in un particolare momento della sua storia.
Difendere la nostra città equivale a conservare la nostra
storia, identità e cultura, e questo non è cosa da poco.
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