3) il cibo - punto di forza- palermo vs palermo

Il cibo – punto di forza.
Sulla cucina e cibo Palermitano si è scritto molto, in particolare sulle sue ricette, sui suoi profumi, sugli accostamenti di  mille prodotti nel modo più svariato e unico che solo Palermo poteva creare. A Fine racconto vi darò alcuni siti dove poter approfondire la preparazione di alcune ricette.
 Non è difficile immaginare che ogni popolo che sia passato da questa città abbia lasciato qualcosa, sia dal punto di vista genetico che culturale, e nel culturale c’è sicuramente la cucina ed il cibo. In questo breve pensiero non voglio parlare di ricette ma della eccellenza della cucina palermitana a livello mondiale. La mia non è un’affermazione azzardata, e vi dimostrerò il perché.
Per un palermitano è una cosa normalissima trovare un bar – pasticceria ad ogni angolo di strada e trovarci dentro una varietà impressionante di dolci e pezzi salati fin dalle prime ore dell’alba. Sembra assurdo ma è così. Io capii la differenza a 18 anni trovandomi a Roma. Ospite di amici di famiglia cercai un bar per portare dei dolci. La  mia delusione fu immensa: trovai solo bar dove si facevano caffè e cappuccini e si vendevano dei miseri cornetti, alcuni solo confezionati. Trovai dopo tanto cercare delle discrete paste di mandorle a prezzi stratosferici in una famosa pasticceria nei pressi del quirinale e riuscii a portar a termine il mio progetto. Da allora in poi , quando parto e vado a casa di amici  i dolci me li porto dietro da Palermo.
Il motivo per cui i palermitani tengono moltissimo al cibo si può spiegare  storicamente con il fatto che la città, pur essendo capitale della Sicilia, la popolazione nei secoli ha sempre sofferto la mancanza di cibo. Quindi per sopperire alla mancanza di cibo il popolo palermitano nei secoli si è inventato di tutto per potere sopravvivere e mangiare, soprattutto per potere reperire le proteine fondamentali per vivere. Questo lo si può capire dal cibo da strada, che ha Palermo è molto diffuso. Per cibo da strada si intende cibo venduto per strada o preparato e venduto per strada. Facciamo alcuni esempi: le panelle, farina di ceci fritta che ricorda il pesce fritto; il masciddaro, muscolatura della testa del bovoni lessa; panino con al milza, polmone e milza bovina lessata e poi fritta nella sugna; trippa; stigghiola, intestini di bovini, ovini o pollame arrostiti; musso; piede del bovino lesso, ricco di cartilagine; frittola, parti di scarto della carne cotta ad altissime temperature, successivamente fritte; sficione, pizza di farina di rimacinato condita con cipolle, pomodoro, acciughe e caciocavallo. Questo è il motivo per cui il palermitano storicamente ha sviluppato una malattia per il cibo, secondo me alcuni Palermitani non mangiano per vivere, ma vivono per mangiare. Diciamo che palermitani sono gli antianoressici, se si può dire, per eccellenza. Queste mie considerazioni valgono per il palermitani veraci, i rimanenti hanno già dimenticato le delizie già descritte.
Accanto a questa cucina povera, fatta di elementi poveri, ma non per questo poco elaborata, si è sviluppata anche la cucina per i nobili, i principi i sultani. In questo caso le ricette ed il cibo sono di altissima qualità, anche nella considerazione che la Sicilia ha nei secoli ha sempre prodotto cibo i altissima qualità e tuttora lo fa. Ricordiamo alcune famose  :la cassata di ricotta; il sorbetto di limone poi diventato il gelato, inventato dagli arabi, con tutte le varianti; la pasticceria di ricotta e crema; la pasta e i timballi, ricordiamo che la pasta fu inventata a Casteldaccia, un paese vicino Palermo; il cosus-cous; tutte le lavorazioni di carne, involtini, salsicce, falsomagro, la caponata di melenzane, pescespada, carciofi.  la cucina povera e quella ricca secondo me hanno sempre vissuto separate, nel senso che i poveri difficilmente potevano accedere al cibo dei ricchi, mentre i ricchi alcune volte, forse per esterofilia, provavano il cibo dei poveri.
 Questa affermazione mi sovviene da due ricordi: il  primo di un racconto di una mia zia mi raccontò che negli anno trenta, 1930, quando ancora non c’era l’acqua corrente una donna aiutava mia nonna a portare l’acqua in casa dalla fontana di zona, per poi ricevere in cambio la sera del cibo; il secondo da una trasmissione luce fatta negli anni 50 del dopo guerra sulle condizioni di vita della popolazione siciliana, una donna interrogata su ciò che desiderasse di più rispose che a lei bastava un po’ di carne. Diciamo che sia che  ci fossero guerre o meno nei secoli la fame per la popolazione in Sicilia è stata sempre grande.
 La pericolosità di questa fame era nota ai nobili ed ai ricchi che comandavano e gestivano il potere, così alcune volte si facevano delle feste per diciamo decomprimere questa bomba chiamata fame, e queste venivano celebrate in alcune ricorrenze in cui si celebravano i santi: Santa lucia 13 dicembre, san Giuseppe 19 marzo ( festa delle mense e del cibo per i poveri), Santa Rosalia 15 Luglio, san Pietro e Paolo, 29 giugno, Sant’Antonio 13 giugno, pasqua, pasquetta, carnevale. Infatti un vecchi proverbio recita: Santu viene festa fa!: Il santo che viene fa festa!.
Tutto questo è ormai storia, negli anni 50 del dopo guerra e del boom economico, la ricchezza delle famiglie palermitane fece scoprire il cibo dei ricchi e non solo, il cibo del consumismo, i salumi e formaggi di tutte le regioni d’Italia, fino ad oggi il cibo di tutto il mondo. Così quello che una volta era cibo povero e sostentamento per molti è diventato prelibatezza e cibo icona di una città da esportare tipo le arancine o il panino con la milza, come fa la famiglia Conticello della famosa Focacceria San Francesco.
Altra considerazione che bisogna fare è che il cibo storico pur essendo vera prelibatezza, non è più adeguato alla vita che si conduce, ed al consumo giornaliero per due  motivi: lo stile di vita che si conduce che è più sedentaria che in passato, l’abbondanza di cibo oggi alla portata di tutti soprattutto quello proteico. Nonostante tutto alcuni cultori, altri direbbero drogati di cibo palermitano, continuano nel godere dalle prime luci dell’alba con un’arancina alla carne, fino a notte inoltrata, in inverno con i cornetti caldi, in estate con fette di angurie ghiacciate.
Palermo, per storia culinaria, può proporsi a livello mondiale come capitale del cibo, ma soprattutto per i dolci. Il turista che viene a Palermo per visitare i luoghi più importanti ha bisogno almeno 10 giorni, invece per potere provare innumerevoli prelibatezze ha necessità di passare in città almeno un mese per poter capire cosa sia il cibo di Palermo.
Conclusioni.
Spero che negli anni avvenire si conservi questo grande patrimonio che è al cucina di Palermo povera e ricca allo stesse tempo, esempio di come di necessità si possa fare virtù. Mi piacerebbe pensare a dei festival del cibo palermitano tipo:  Santa Lucia fest(  festival mondiale dell’arancine)  o al San Giuseppe fest, ( festival della sfincia di ricotta e della pasta con le sarde ) , o al Santa Rosalia fest(  festival dei babbaluci e delle angurie),  festival del cannolo e chiacchere a carnevale , il festival della cassata di ricotta a Pasqua.
Spero che  la cucina si evolva secondo le moderne esigenze conservando il vecchi ingredienti ma elaborati in modo più leggeri ed adeguati ai tempi. Inoltre spero come è successo nel passato che le  nuove popolazioni che oggi vivono in  città, cinesi, asiatici, africani, possano lasciare  anche  loro un’impronta e che questa si fonda con la vecchi cucina rendendola nuova.
Siti di ricette siciliane:
http://www.donnamoderna.com/cucina/Ricette-per-categoria/Cucina-regionale/Sicilia?gclid=CIzCgdPc3bwCFdQPtAodYREAdQ


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